L’architetto e l’altalena

vietato_fumare

Ore 13 suona la campanella, il bel clima aiuta e allora tutti al parchetto di fronte la scuola per 15-20 minuti di “scarico”post banco.

Il nostro parco, prospiciente la Scuola Elementare, è chiamato Villetta, è sempre stato così e credo sempre lo sarà.
Dopo anni di fatiche è diventata un luogo più che decente: altalene, scivoli etc sono nuovi e un utile pavimento antishock cerca di limitare i danni delle inevitabili cadute.
E’ bello vedere i bambini giocare, osservandoli capisci molto del loro mondo e dei loro genitori presenti.
Da qualche tempo, in villetta, sono stati installati alcuni giochi adatti anche a bimbi meno fortunati, quelli che i “normodotati” chiamano bambini con dis-abilità.
Peccato però che, alcuni di questi giochi a volte cadano sotto la furia dei bambini più fortunati e quindi rimangano inagibili per qualche periodo, privando i fruitori designati di una possibilità di svago e di un momento di spensieratezza. La nostra villetta non è beninteso un vero parco inclusivo, un parco cioè interamente ideato e progettato per far ricreare tutti i bambini, più o meno fisicamente abili, contemporaneamente sulle stesse attrazioni, è solo un parco dove sono stati inseriti alcuni giochi adatti ai meno fortunati. E’ già un buon passo, però, e un segno di civiltà sia averli installati che il tentativo di tenerli in buona efficienza.
Non avendo già da tempo un custode, l’attività di controllo è delegata agli adulti presenti e al buon comportamento dei bambini.
Solo questa mattina uno di questi giochi era ritornato fruibile, dopo qualche giorno di forzata inattività (era rotto),e, quando ho visto che un nutrito gruppo di bambini, incluso mio nipote, lo usava non certo con cura, sono intervenuto invitandoli paternamente a utilizzarne degli altri e rispettare i bisogni dei meno fortunati. Necessario precisare che nessun bambino con dis-abilità era presente tra di loro.
Allontanatomi, venivo raggiunto da una Signora, che presentatasi come Architetto (Architetto non come Rossi o Bianchi, Architetto come Arch.) mi chiedeva se fossi stato io a far scendere suo figlio dalla giostra. Le rispondevo che, sebbene non sapessi chi fosse suo figlio, ero stato io a consigliare per il meglio i bambini, tra i quali anche mio nipote.
La Signora, pardon Architetto, polemizzava fumantina che giammai avrei dovuto permettermi di obbligare suo figlio a scendere da alcuna giostra perché lei e solo lei, avrebbe avuto il diritto di farlo, qualora lo avesse ritenuto opportuno, e che quella circostanza non necessitava di alcun tipo di intervento da parte di un adulto perché tutti i giochi erano utilizzabili senza distinzione di abilità fisica.
Iniziava così una pseudo dissertazione sul giochi inclusivi, asserendo di essere progettista di tali strutture.
Cercavo quindi di spiegare, pur non essendo Architetto e non essendomi qualificato con nessun titolo accademico, che è inclusivo ciò che include e non ciò che esclude, e che il non corretto utilizzo delle attrazioni avrebbe in futuro escluso i bambini più bisognosi dal loro utilizzo. Lapalissiano lo so, ma l’Architetto, pareva più interessata a dispensare verbalmente il suo biglietto da visita che a recepire il mio ragionamento.
Spiegavo, che forse aveva frainteso il significato della parola inclusivo, e che la fattispecie obbligava suo figlio, cioè lei, l’Architetto, a preservare quei giochi per fare in modo che i bambini con dis-abilità avessero potuto trovare l’attrazione sempre fruibile. Insegnare ai nostri figli, qualunque il grado di abilità fisica, a relazionarsi con gli altri e rispettarne i loro bisogni significava essere inclusivi.Giocare con un dis-abile su una giostra significa essere inclusivo, sfasciargliela prima che lui possa utilizzarla è essere esclusivo.
Macchè, niente un muro. Un muro di cemento che ho preferito abbandonare per evitare di alzare i toni della discussione, anche perché mia figlia cominciava ad adombrarsi e a guardami preoccupata. Un muro di cemento alzato da una mamma innamorata più del suo titolo accademico che dell’esempio da dare al figlio. Una mamma seppellita dalla teoria dei libri universitari letti male o capovolti da una ideologia demente.
Ora io vorrei rivendicare a nome di tutti i bambini in difficoltà il diritto di essere i soli titolati a rompere un’altalena progettata per i loro bisogni e che nessun altro possa usurpare loro questo sacrosanto diritto.
Si proprio così: facciamo giocare i nostri figli e diamo a tutti loro la stessa possibilità di sbagliare, solo così potranno crescere sani senza nascondere la loro miseria dietro un titolo accademico, che è poi a pensarci bene la vera disabilità.