Quell’abbraccio lungo una vita

Vidi la semifinale di Barcellona seduto sul divano, da solo, in un casa piccola e con un televisore a misura di casa. 
First, il mio cane, quella sera aveva capito e non venne a sedersi al mio fianco com’era solito fare. Ci provava, anzi, poveretto, saliva, si sdraiava vicino ma dopo pochi secondi scendeva, saliva di nuovo e riscendeva. Così per 96 minuti. Un inferno per tutti.
Per lei no. Aurelia aveva appena 7 mesi, la cullavo col piede, trasformava la nevrosi del dondolio in una sorriso dolcissimo, perenne. Forse sapeva. 

Non parlavo, non commentavo, non inveivo, soffrivo una trans agonistica opposta alla intensità del match. Con lui ne parlammo solo dopo quella notte, prima non si doveva neanche far finta di pensarci. Era stato il nostro patto segreto, ne facemmo altri di quei patti segreti, anche dopo. 
Al fischio finale stremato ebbi solo la forza di mandargli un messaggio fatto di poche parole: ”Andiamo, ora o mai più”.
Sapevamo bene entrambi che la nostra storia di tifosi adolescenti si sarebbe conclusa da quarantenni a Madrid . 
Dopo quell’avventura, comunque fossero andate le cose, la nostra passione sarebbe cambiata, non finita, mutata. Non avremmo più inseguito quel sogno con lo stesso vigore, con la stessa volontà, con le stesse tensioni, con gli stessi entusiasmi. 10 anni fa in Italia c’erano circa 4 milioni di tifosi interisti, 70 milioni nel Mondo, moltissimi dei quali, anche noi, neanche nati quando Herrera , Mazzola , Miani e Jair avevano portato la squadra, per due volte, sul tetto d’Europa. 

Più o meno 20.000 erano i biglietti a disposizione per la finale di Madrid Una manciata di biglietti per tre generazioni di tifosi: un’impresa ai limiti dell’impossibile. 
Un rapido calcolo statistico ci diceva che rapportando la richiesta di 300.000 persone-tante furono le domande arrivate in sede-con i 20.000 biglietti disponibili il risultato sarebbe stato 2 a Madrid, 30 sul divano. 
Furono giorni lunghissimi, diventava difficile; i canali degli Inter club erano impossibili da attivare, il nostro era sempre stato un tifo indipendente, libero da legami. Solo Lei, la maglia. 


I giorni passavano, e le speranze si affievolivano quando a cinque giorni dalla partita Claudio mi disse che potevo chiamare in sede per conto del suo amico Piero. Avrebbe cercato di aiutarci. 
Il 17 Maggio alle ore 21:08 ricevemmo la conferma della disponibilità.Cosi fu. 

Arrivati a Madrid con voli taxi da Malpensa ci dividemmo per qualche ora per poi ritrovarci nei pressi dello stadio. Per molti il Santiago Bernabeu era lo stadio della vittoria del mondiale ‘82, di Pertini tifoso che diceva a Re Juan Carlos, agitandosi, “non ci prendono più”. Un ricordo felice insomma. Per noi invece era lo stadio dove Carlós Alonso Gonzales detto Santilliana, in cinque anni da centravanti del Real ci aveva fatto 6 gol eliminandoci dalle coppe 4 volte su 4. 
Nulla di cui essere sereni insomma


Era già tempo di entrare ma dovemmo separarci. I nostri biglietti non erano dello stesso settore e sebbene avessimo potuto fare qualcosa per essere vicini preferimmo lasciare tutto così com’era stato stabilito. Ça va sans dire. 
Il resto è storia. I ragazzi fecero quello che oggi è scritto nelle enciclopedie dello sport alla voce TRIPLETE. In una sera di maggio il sogno di molti e l’incubo di moltissimi altri si realizzarono pienamente. 

Ci trovammo poi, fuori, colmi di una gioia tanto irrazionale quanto impossibile da descrivere e con un tatuaggio nel cuore, uguale, identico. Ci abbracciammo, saltando e cantando per un tempo che ci parve lunghissimo. 
Ce lo siamo raccontato, quell’abbraccio, centinaia di volte, come fosse accaduto il giorno prima. 
Fu il più lungo scambiatoci in una vita di amicizia. Non l’ho più riabbracciato in quel modo. 
Non abbiamo neanche una foto insieme di quella notte memorabile, meglio così, non ce la saremmo raccontata così tante volte se ci fossero state delle foto. E neanche l’avrei raccontata a voi quella lunga notte di Maggio. 
L’immagine da ricordare è quell’abbraccio, quell’abbraccio lungo una vita e il nostro tatuaggio sul cuore. 

Ciao amico mio, noi c’eravamo quella notte di 10 anni fa.