L’accoglienza è di sinistra, abbiatelo chiaro in mente.

Non sarà quindi necessario puntualizzare oltre.

Non ci sarebbe da discutere, ma mi permetto un paio di forse inutili considerazioni a margine.

Parlare di colore della pelle e integrazione, accoglienza appunto è un valore da sempre appartenuto al popolo democratico rivoluzionario della Sinistra italiana e mondiale.

Giustamente gran parte della sinistra italiana, probabilmente quella stessa che lincia non solo mediaticamente i  Carabinieri  nei cortei no-global, no TAP no TAV compie oggi atti di onanismo istituzionale eleggendo o icona della integrazione il corazziere nero (brasiliano di nascita e italiano per volontà e amore di una famiglia siciliana che ne ha fato di lui un cittadino e fedele servitore dei valori e dei saloni presidenziali).

La nera corazzata figura, è esempio massimo di integrazione istituzionale, uno schiaffo al Ministro dell’Interno -di cui è per metà dipendente- che respinge i suoi fratelli neri chiudendo i porti. 

A me pare però che il popolo italiano sia campione olimpico  della specialità conosciuta come “Chiagn e fott”.

Tu accogli, io sono democratico, tu respingi, sei fascista e razzista, io non so gestire l’accoglienza, tu sei crudele e insensibile o incosciente e sprovveduto.

Il nostro è un popolo miope, si sa, secoli di storia ce lo dicono, non ricorda, dimentica in fretta e quasi sempre si vende al soldo del migliore offerente, in barba ai principi della convenienza relativa; non è in grado di discernere il razzista dal cretino, il tifoso dal delinquente abituale, figuriamoci se riesce a fare distinzione tra  il vero dal verosimile.

In questo scenario viviamo,  più o meno consapevoli di popolare una terra in cui è sufficiente dire il contrario per avere successo senza preoccuparci dell’esempio. Parola invisa ai più.

L’esempio, la carità cristiana, viene praticata oggi per lo più  nei salotti radical, su divani di velluto porpora, sorseggiando un tè o una tisana rilassante.

Io sono di destra, la mia  famiglia lo è ed è stata, sono cresciuto sotto i palchi di chi proclamava che la destra o è coraggio o non è, che è libertà o non è, che è nazione o non è, che la destra o è Europa o non è, infine che l’Europa o va a destra o non si fa.

Con quella idea, sono cresciuto, ma soprattutto con l’idea che per giudicare bisogna dare esempi, esempi di fratellanza se si vuole accusare qualcuno di discriminare, esempio di integrazione se si vuole indicare  qualcuno come gretto, praticare la carità se si vuole esprimere un giudizio sull’altrui egoismo.

Questi sono i valori che contano, e non c’è sinistra che possa produrre titoli  per attestarne l’esclusiva proprietà.

Ora se i fighetti della sinistra radical-chic, andassero nei porti e prelevassero uno per uno i naufraghi del mediterraneo e li accogliessero nelle loro case, fornendo letti e vivande,  provvedendo i loro bisogni, non per un giorno o un mese,  magari per qualche anno,  darebbero un bel esempio di fratellanza, accoglienza e integrazione.

Non parlate di accoglienza se non siete disposti a praticarla, non parlate di accoglienza se non siete disposti a perdere un briciolo della vostra libertà.

7 marzo 1991 porto di Brindisi: senza un perché, un avviso, un preavviso arrivarono in porto 27.000 Albanesi, di tutte le età, in fuga, alcuni per la verità neanche tanto, dal regime comunista albanese.

Pioveva molto quel giorno e con noi in casa arrivò Fatos: non sapevamo quanti anni avesse forse 13, né con chi fosse arrivato, non parlava nessuna parola di italiano, di quella sera ricordo solo le sue mani, non erano quelle di un bambino.

Credo, senza timore di essere smentito, che Fatos sarebbe diventato da lì a qualche settimana, il primo profugo arrivato sul suolo italico dotato di un permesso di soggiorno e una carta di identità del mio comune. Un immigrato regolare quindi, preso in affido dalla mia famiglia, un fratello insomma, un fratello albanese.

Guardava i film di Rocky a tutte le ore del giorno, pur non capendone la lingua, rispondeva sempre di no a qualsiasi domanda gli venisse posta e per molto tempo continuò a mentire , perché era quello che i comunisti lo avevano obbligato a fare per anni. Rimase con noi per 5 anni, quando alla maggiore età decise che era tempo di andare per la sua strada, strada che lo fece diventare poi, padre marito e imprenditore di se stesso.

L’ho chiamato ieri, prima di scrivere, perché volevo assicurarmi che stesse bene e che stesse procedendo tutto per il verso che si era immaginato quel 7 marzo del 1991. Non cerco la sua gratitudine, non mi interessa. Mi piacerebbe invece vedere che chi giudica, pronto a sfoderare il suo indice sia capace per una volta di guardare la punta di quel dito.

Perché tiro fuori dalla bacheca dei ricordi questo, dopo quasi trent’anni? Non lo so. Forse non ce n’era bisogno. Si, per me non ce n’era bisogno.