Mercato del lavoro tra tutele e meritocrazie

Perché Elisabetta Franchi sbaglia o forse no

Un tema interessante che anima dibattiti politici, economici , sociologici e via discorrendo e che divide il mondo del lavoro e delle opinioni comuni

Ma e’ solo necessaria una comune levata di scudi, e una crocifissione in pubblica piazza dell’imprenditore insensibile per consentire alle donne di vedere garantiti i loro diritto di lavoratrici a causa dell’ altissimo valore socio-economico che il loro status di potenziali madri garantisce al paese? O è anche necessaria una rilettura più generale del mercato del lavoro italiano che annodato da e lacci e laccioli legislativi è strangolato e impedisce alle imprese di bilanciare le risorse umane navigando senza rotta tra obblighi contrattuali, tutele sindacali e necessità di salvare i bilanci e generare profitto?
La nostra Costituzione tutela il diritto al lavoro ma non obbliga il lavoratore a meritarsi quel diritto, a coltivare quel diritto con passione, studio, impegno e lealtà.
Si è formato nel tempo un collo di bottiglia che ingolfa le aziende di lavoratori improduttivi del cui costo l’impresa assorbe pienamente la partita. Si è scatenata quindi una malsana reazione a protezione dei bilanci generando la ricerca di ottimizzazione dei costi svantaggiando per esempio l’assunzione di donne che desiderino legittimamente diventare madri durante il periodo di impiego.
Se le aziende avessero la possibilità di terminare rapidamente e senza ritardo le posizioni dei dipendenti non meritevoli e per questo improduttivi, lo status di madre o gestante diventerebbe un fattore secondario nella scelta dei collaboratori, apparendo primaria la necessità di inserire in azienda non già una “generale unità lavorativa” ma una “meritevole unità lavorativa” che aggiunga valore all’impresa e non lo sottragga.
Le aziende hanno bisogno di merito e competenze, di lavoratori sapienti e capaci.
Le donne dovrebbero essere messe in condizione di non aver paura di accarezzare il sogno di essere madri perché potenziali gestanti del futuro del paese, un paese che peraltro rischia di morire presto di vecchiaia e per il quale al momento nessuno ha intenzione di prendersi seriamente cura

Quell’abbraccio lungo una vita

Vidi la semifinale di Barcellona seduto sul divano, da solo, in un casa piccola e con un televisore a misura di casa. 
First, il mio cane, quella sera aveva capito e non venne a sedersi al mio fianco com’era solito fare. Ci provava, anzi, poveretto, saliva, si sdraiava vicino ma dopo pochi secondi scendeva, saliva di nuovo e riscendeva. Così per 96 minuti. Un inferno per tutti.
Per lei no. Aurelia aveva appena 7 mesi, la cullavo col piede, trasformava la nevrosi del dondolio in una sorriso dolcissimo, perenne. Forse sapeva. 

Non parlavo, non commentavo, non inveivo, soffrivo una trans agonistica opposta alla intensità del match. Con lui ne parlammo solo dopo quella notte, prima non si doveva neanche far finta di pensarci. Era stato il nostro patto segreto, ne facemmo altri di quei patti segreti, anche dopo. 
Al fischio finale stremato ebbi solo la forza di mandargli un messaggio fatto di poche parole: ”Andiamo, ora o mai più”.
Sapevamo bene entrambi che la nostra storia di tifosi adolescenti si sarebbe conclusa da quarantenni a Madrid . 
Dopo quell’avventura, comunque fossero andate le cose, la nostra passione sarebbe cambiata, non finita, mutata. Non avremmo più inseguito quel sogno con lo stesso vigore, con la stessa volontà, con le stesse tensioni, con gli stessi entusiasmi. 10 anni fa in Italia c’erano circa 4 milioni di tifosi interisti, 70 milioni nel Mondo, moltissimi dei quali, anche noi, neanche nati quando Herrera , Mazzola , Miani e Jair avevano portato la squadra, per due volte, sul tetto d’Europa. 

Più o meno 20.000 erano i biglietti a disposizione per la finale di Madrid Una manciata di biglietti per tre generazioni di tifosi: un’impresa ai limiti dell’impossibile. 
Un rapido calcolo statistico ci diceva che rapportando la richiesta di 300.000 persone-tante furono le domande arrivate in sede-con i 20.000 biglietti disponibili il risultato sarebbe stato 2 a Madrid, 30 sul divano. 
Furono giorni lunghissimi, diventava difficile; i canali degli Inter club erano impossibili da attivare, il nostro era sempre stato un tifo indipendente, libero da legami. Solo Lei, la maglia. 


I giorni passavano, e le speranze si affievolivano quando a cinque giorni dalla partita Claudio mi disse che potevo chiamare in sede per conto del suo amico Piero. Avrebbe cercato di aiutarci. 
Il 17 Maggio alle ore 21:08 ricevemmo la conferma della disponibilità.Cosi fu. 

Arrivati a Madrid con voli taxi da Malpensa ci dividemmo per qualche ora per poi ritrovarci nei pressi dello stadio. Per molti il Santiago Bernabeu era lo stadio della vittoria del mondiale ‘82, di Pertini tifoso che diceva a Re Juan Carlos, agitandosi, “non ci prendono più”. Un ricordo felice insomma. Per noi invece era lo stadio dove Carlós Alonso Gonzales detto Santilliana, in cinque anni da centravanti del Real ci aveva fatto 6 gol eliminandoci dalle coppe 4 volte su 4. 
Nulla di cui essere sereni insomma


Era già tempo di entrare ma dovemmo separarci. I nostri biglietti non erano dello stesso settore e sebbene avessimo potuto fare qualcosa per essere vicini preferimmo lasciare tutto così com’era stato stabilito. Ça va sans dire. 
Il resto è storia. I ragazzi fecero quello che oggi è scritto nelle enciclopedie dello sport alla voce TRIPLETE. In una sera di maggio il sogno di molti e l’incubo di moltissimi altri si realizzarono pienamente. 

Ci trovammo poi, fuori, colmi di una gioia tanto irrazionale quanto impossibile da descrivere e con un tatuaggio nel cuore, uguale, identico. Ci abbracciammo, saltando e cantando per un tempo che ci parve lunghissimo. 
Ce lo siamo raccontato, quell’abbraccio, centinaia di volte, come fosse accaduto il giorno prima. 
Fu il più lungo scambiatoci in una vita di amicizia. Non l’ho più riabbracciato in quel modo. 
Non abbiamo neanche una foto insieme di quella notte memorabile, meglio così, non ce la saremmo raccontata così tante volte se ci fossero state delle foto. E neanche l’avrei raccontata a voi quella lunga notte di Maggio. 
L’immagine da ricordare è quell’abbraccio, quell’abbraccio lungo una vita e il nostro tatuaggio sul cuore. 

Ciao amico mio, noi c’eravamo quella notte di 10 anni fa. 

…con la fedeltà fino alla morte…

Quando ammazzano un carabiniere…
Moriamo anche noi perché con lui muore il senso di giustizia.
Moriamo anche noi perché con lui muore il senso del dovere.
Moriamo anche noi perché con lui muore il senso del sacrificio.
Moriamo anche  noi perché con lui  muore la comunità e la solitudine prevale.
Moriamo anche noi perché con lui muore la giusta considerazione del tempo.
Moriamo anche noi perché con lui muore il senso d’ordine delle cose.
Moriamo anche noi perché con lui muore la responsabilità.
Moriamo anche noi perché con lui muore la nostra sicurezza.
Moriamo con lui perché con lui muore il nostro orgoglio.
Moriamo con lui perché con lui muore la passione.
Moriamo con lui perché qualcuno dirà un…ma se….


In questa Domenica delle Palme pregherei così:


Dolcissima e gloriosissima Madre di Dio e nostra,
noi Carabinieri d’Italia,
a Te eleviamo reverente il pensiero,
fiduciosa la preghiera e fervido il cuore!
Tu che le nostre Legioni invocano confortatrice e protettrice
con il titolo di “VIRGO FIDELIS”.
Tu accogli ogni nostro proposito di bene
e fanne vigore e luce per la Patria nostra.
Tu accompagna la nostra vigilanza,
Tu consiglia il nostro dire,
Tu anima la nostra azione,
Tu sostenta il nostro sacrificio,
Tu infiamma la devozione nostra!
E da un capo all’altro d’Italia
suscita in ognuno di noi
l’entusiasmo di testimoniare,
con la fedeltà fino alla morte
l’amore a Dio e ai fratelli italiani.
 
Amen!

L’accoglienza è di sinistra, abbiatelo chiaro in mente.

Non sarà quindi necessario puntualizzare oltre.

Non ci sarebbe da discutere, ma mi permetto un paio di forse inutili considerazioni a margine.

Parlare di colore della pelle e integrazione, accoglienza appunto è un valore da sempre appartenuto al popolo democratico rivoluzionario della Sinistra italiana e mondiale.

Giustamente gran parte della sinistra italiana, probabilmente quella stessa che lincia non solo mediaticamente i  Carabinieri  nei cortei no-global, no TAP no TAV compie oggi atti di onanismo istituzionale eleggendo o icona della integrazione il corazziere nero (brasiliano di nascita e italiano per volontà e amore di una famiglia siciliana che ne ha fato di lui un cittadino e fedele servitore dei valori e dei saloni presidenziali).

La nera corazzata figura, è esempio massimo di integrazione istituzionale, uno schiaffo al Ministro dell’Interno -di cui è per metà dipendente- che respinge i suoi fratelli neri chiudendo i porti. 

A me pare però che il popolo italiano sia campione olimpico  della specialità conosciuta come “Chiagn e fott”.

Tu accogli, io sono democratico, tu respingi, sei fascista e razzista, io non so gestire l’accoglienza, tu sei crudele e insensibile o incosciente e sprovveduto.

Il nostro è un popolo miope, si sa, secoli di storia ce lo dicono, non ricorda, dimentica in fretta e quasi sempre si vende al soldo del migliore offerente, in barba ai principi della convenienza relativa; non è in grado di discernere il razzista dal cretino, il tifoso dal delinquente abituale, figuriamoci se riesce a fare distinzione tra  il vero dal verosimile.

In questo scenario viviamo,  più o meno consapevoli di popolare una terra in cui è sufficiente dire il contrario per avere successo senza preoccuparci dell’esempio. Parola invisa ai più.

L’esempio, la carità cristiana, viene praticata oggi per lo più  nei salotti radical, su divani di velluto porpora, sorseggiando un tè o una tisana rilassante.

Io sono di destra, la mia  famiglia lo è ed è stata, sono cresciuto sotto i palchi di chi proclamava che la destra o è coraggio o non è, che è libertà o non è, che è nazione o non è, che la destra o è Europa o non è, infine che l’Europa o va a destra o non si fa.

Con quella idea, sono cresciuto, ma soprattutto con l’idea che per giudicare bisogna dare esempi, esempi di fratellanza se si vuole accusare qualcuno di discriminare, esempio di integrazione se si vuole indicare  qualcuno come gretto, praticare la carità se si vuole esprimere un giudizio sull’altrui egoismo.

Questi sono i valori che contano, e non c’è sinistra che possa produrre titoli  per attestarne l’esclusiva proprietà.

Ora se i fighetti della sinistra radical-chic, andassero nei porti e prelevassero uno per uno i naufraghi del mediterraneo e li accogliessero nelle loro case, fornendo letti e vivande,  provvedendo i loro bisogni, non per un giorno o un mese,  magari per qualche anno,  darebbero un bel esempio di fratellanza, accoglienza e integrazione.

Non parlate di accoglienza se non siete disposti a praticarla, non parlate di accoglienza se non siete disposti a perdere un briciolo della vostra libertà.

7 marzo 1991 porto di Brindisi: senza un perché, un avviso, un preavviso arrivarono in porto 27.000 Albanesi, di tutte le età, in fuga, alcuni per la verità neanche tanto, dal regime comunista albanese.

Pioveva molto quel giorno e con noi in casa arrivò Fatos: non sapevamo quanti anni avesse forse 13, né con chi fosse arrivato, non parlava nessuna parola di italiano, di quella sera ricordo solo le sue mani, non erano quelle di un bambino.

Credo, senza timore di essere smentito, che Fatos sarebbe diventato da lì a qualche settimana, il primo profugo arrivato sul suolo italico dotato di un permesso di soggiorno e una carta di identità del mio comune. Un immigrato regolare quindi, preso in affido dalla mia famiglia, un fratello insomma, un fratello albanese.

Guardava i film di Rocky a tutte le ore del giorno, pur non capendone la lingua, rispondeva sempre di no a qualsiasi domanda gli venisse posta e per molto tempo continuò a mentire , perché era quello che i comunisti lo avevano obbligato a fare per anni. Rimase con noi per 5 anni, quando alla maggiore età decise che era tempo di andare per la sua strada, strada che lo fece diventare poi, padre marito e imprenditore di se stesso.

L’ho chiamato ieri, prima di scrivere, perché volevo assicurarmi che stesse bene e che stesse procedendo tutto per il verso che si era immaginato quel 7 marzo del 1991. Non cerco la sua gratitudine, non mi interessa. Mi piacerebbe invece vedere che chi giudica, pronto a sfoderare il suo indice sia capace per una volta di guardare la punta di quel dito.

Perché tiro fuori dalla bacheca dei ricordi questo, dopo quasi trent’anni? Non lo so. Forse non ce n’era bisogno. Si, per me non ce n’era bisogno.

Una Chiesa antica al passo coi tempi

11-ap-17-3-4Nella Basilica di Santa Caterina d’Alessandria, a Galatina,  la rappresentazione dell’Apocalisse (17:1-4) ci riporta all’attualità delle false Chiese e dei falsi profeti.

Allora uno dei sette angeli che hanno le sette coppe mi si avvicinò e parlò con me: “Vieni, ti farò vedere la condanna della grande prostituta che siede presso le grandi acque. Con lei si sono prostituiti i re della terra e gli abitanti della terra si sono inebriati del vino della sua prostituzione”. L’angelo mi trasportò in spirito nel deserto. Là vidi una donna seduta sopra una bestia scarlatta, coperta di nomi blasfemi, con sette teste e dieci corna. La donna era ammantata di porpora e di scarlatto, adorna d’oro, di pietre preziose e di perle, teneva in mano una coppa d’oro, colma degli abomini e delle immondezze della sua prostituzione. Sulla fronte aveva scritto un nome misterioso: “Babilonia la grande, la madre delle prostitute e degli abomini della terra”. 

Au revoir monsieur Andrea!

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Galatina, 11 Agosto 2015

In verità non credo proprio che a lui piacesse l’appellativo del Re del pasticciotto.
Piuttosto mi piace pensare a lui come un artista monarchi-comuni-fascista.

Aveva in se, il Maestro, il meglio della virtù galatinese, quella sapienza del mestiere, mista alla consapevolezza della conoscenza dell’arte. Aveva anche i “migliori” difetti del gene cittadino una sorta di grandeur parigina insomma. In paese sapevamo tutti che non sarebbe tornato più in laboratorio, ma nessuno ne parlava per una sorta di rispetto del mito.
Chi si è affannato, nel corso degli anni a replicare le sue gemme, avrà magari avuto la possibilità di avvicinarsi al gusto ma mai al contenuto. Gli ingredienti del prodotto della sua arte non erano certamente solo farina, strutto , uova e Dio sa cos’altro, c’era in quelle opere d’arte la cultura del paese, il pregio di sapere che le persone fanno la storia e i risultati non possono che essere eccellenti se ci metti la passione senza mai bluffare. La processione della domenica cominciava in Chiesa e finiva da lui, accorgendoti al rientro a casa che avevi pregato più per garantirti un’extra nel vassoio incartato nella nobile, immutabile e raffinatissima carta marrone e oro che per una assoluzione per i peccati settimanali.
La sua popolarità, alimentata negli anni da aneddoti degni dei capricci di una star hollywoodiana, cresceva ma mai mutò di una virgola il suo essere semplicemente Andrea. Aveva rispetto di tutti ma mai lo vidi cedere alla reverenza quando qualche notabile, politico e non, entrava in bottega.
Non aveva bisogno di nessuno, Andrea, della sua splendida famiglia certo, ma gli bastavano loro e il lavoro in laboratorio.
Ci lasci per sempre, orfani della tua voce roca e convincente, e dell’ingrediente migliore del tuo dolce più famoso: l’amore per la tua città

 

Il Sindaco, le braghe e le cime…di rape

Rosa_dei_venti     In questa estate scarsamente popolata di notizie  e gossip da ombrellone, solo nella giornata di ieri, con l’avvicinarsi della settimana top della stagione, spiccano ben due avvenimenti degni della calura luciferina.
Il pignoramento di ville, barche, quote azionarie per circa 10 milioni di euro al reuccio, ma che dico, imperatore dei social Mr. Enjoy Gianluca Vacchi (già oggetto nei giorni immediatamente precedenti le sventure bancarie, di mie considerazioni per una  recente intervista. -leggi post del 4 u,s) e la sventura occorsa al Sindaco di Viareggio, Giorgio d-D-el (non si capisce se la d sia minuscola o maiuscola) Ghingaro, allontanato dal ristorante del Circolo Velico cittadino a causa di una violazione del dress code imposto ad ospiti e soci.
Vestire le braghe a cena al C.N. Viareggino  non è consentito a NESSUNO e il Sindaco dopo essersi accomodato al tavolo è stato invitato, tra l’imbarazzo dei commensali e suo personale, a condurre il suo bermudino e le annesse natiche  fuori dalle sale nautiche.
La vicenda ha scatenato il popolo della rete, assai pronto schierarsi al fianco del primo cittadino, che stizzito e amareggiato ha imputato l’episodio ad una ritorsione politica di alcuni consiglieri del circolo velico di opposta fazione.
Orde di webeti hanno inveito contro l’ipocrisia imperante in codetti ambienti velici, nei quali -per onor di verità- 9 soci su 10 forse non distinguono un maestrale da uno scirocco o un levante da un ponente e, quando richiesti di passare una cima, non capiscono se si stia chiedendo loro una sorta di corda o se con le cime vadano passate sempre e comunque anche le rape.
Detto ciò, ad avvalorare la tesi del complotto e dell’ingiustizia subita, il primo cittadino commentava che egli non era affatto vestito da straccione e che il valore delle sue braghe modello bermuda, la camicia, la cintura e badabén-badabén  il suo orologio, superava di gran lunga i duemilaeuri, avete capito bene DUEMILA EURI.
Perbacco, mi verrebbe da dire, questo Sindaco attapirato merita tutta la nostra comprensione, andare in giro in bermuda in estate con questa calura è il minimo, e chi se ne frega poi se in tutti in Circoli Nautici del mondo, dopo il tramonto non sia consentito presentarsi con i polpacci scoperti.
Ebbene caro Sindaco, d-D-el Ghingaro, la prossima volta che deciderà di condurre i suoi bermuda a cena in un qualunque  Circolo Velico del globo, a prescindere dalla qualità e competenza dei soci, si assicuri di conoscere le regole di tali consessi, eviti di mettere in imbarazzo i suoi ospiti e rispetti le regole, giuste o ingiuste che siano.
E’solo una questione di buon senso, alla fine credo costi molto meno di quello che Lei ritiene essere il valore minimo della decenza espressa in EURI.
E poi, Signor Sindaco, inutile lamentarsi dei parvenu, per evitarli bastava spendere anche molto meno di duemila euro, mettere un paio di braghe, anche comprate al mercato e andare a mangiare da un’altra parte, non avrebbe pagato comunque.
Buon fine settimana.

Auguri Nico, fratello mio.

Auguri Nico!

Voglio farti pubblicamente gli auguri per il tuo compleanno perché sono tanti, sia gli auguri che gli anni, e  perché credo che molti dei miei amici approfitteranno per unirsi a me con l’affetto che meriti. Che ti conoscano personalmente o solo attraverso ciò che racconto,farà poca differenza, saranno auguri sentiti, stanne certo.

Per aiutare chi non ti conosce a fondo vorrei tracciare un tuo brevissimo profilo.
Nico, mio fratello, ha delle qualità non comuni: poche e selezionate passioni e un quasi fastidioso senso dell’onestà e della rettitudine.
Lo inquieta l’ingiustizia e in genere non sopporta l’odore nauseabondo che emette l’incoerente e l’opportunista.
Trova pace nello scrivere, lo fa da quando aveva sei anni e lo fa con la determinazione di chi riconosce il limite della miseria umana e della precarietà delle cose di ogni giorno.
Ha pubblicato tre libri di poesie, è un aspirapolvere di ricordi e non cestina quasi nulla perché: “prima o poi potrebbe servire”.
Credo conosca qualche migliaio di persone e quelle che parlano male di lui sono un pugno e quasi sempre destinati a fare la fine di capitan uncino, ossessionati dal tempo battuto da un orologio perennemente fermo ai tempi del (loro) colera.
Cerca di resistere alle avversità imponendosi di essere meno tollerante e  più cinico ma gli viene malissimo.
Da ragazzo era un razzo (fa anche rima), pluri-medagliato ai Giochi dell Gioventù, tra i più veloci in Puglia; credo di non sbagliarmi se dico che solo un certo Rampino  riusciva a stargli davanti,  vanta un personale sui 100 mt. di 11,3 sec. (solo 1,72 sec. dal record mondiale di Bolt, non male).
Appassionato di politica, è un tenace, non molla l’Idea ma ultimamente ha migliorato la sua visione globale delle municipalità a discapito di un, a volte asfittico, declamar di ideali.
Passa molte ore al telefono, macina chilometri e raccoglie 1/100 di ciò che semina per la “gioia” di sua moglie Marisella.
NICO, non posso che augurarti di campare ancora a lungo per raccogliere molte delle soddisfazioni che meriti.
A dire il vero alcune le hai già raggiunte, hai una famiglia sana e due figli meravigliosi.
Ad maiora fratello.
Ti voglio bene
Luca